Lezione a cura di
Professoressa Anna Scicolone e del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento
Passando in rassegna manuali di letteratura italiana in uso nelle scuole superiori o nelle facoltà universitarie a indirizzo umanistico ci si accorge, sempre più spesso, dell’assenza di alcuni autori e, soprattutto, di alcune autrici. Nomi di scrittori e scrittrici caduti nell’oblio, di cui non vi è traccia né menzione alcuna alle loro opere. Cercheremo di colmare questo vuoto proponendo un’analisi della narrativa di Maria Messina, scrittrice siciliana vissuta tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900 e ingiustamente lasciata al margine dalla storia e dalla critica letteraria italiana. Le tematiche affrontate nei suoi scritti – l’emigrazione, la misera condizione della donna, la debolezza dei poveri o la povertà dei deboli, così come l’incessante salvaguardia delle apparenze – sono il riflesso di un’Italia statica, che appare restia ad ogni forma di cambiamento. Nel corso della sua breve esistenza, la scrittrice intraprende un’analisi critica della società a cui appartiene, mettendone in luce, sulla scia del verismo, tutte le fragilità. I protagonisti, le femmine soprattutto, le tante “pupattole di cencio” che spopolano tra le sue pagine, sperimenteranno gelosie, adulteri, maltratti, abusi sessuali e, nel peggiore dei casi, il suicidio.